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Con molta approssimazione Francesca De Carolis nacque nel 1755 in un paese di 10.000 anime dell’aspro Gargano, San Marco in Lamis, da una famiglia di proprietari terrieri.
Ultima di due sorelle e quattro fratelli, Francesca sposò in giovanissima età, forse nel 1774 o 1775, il nobiluomo Don Scipione Cafarelli seguendolo a Tito nella nuova dimora.
Qui, assimilando dal paese di adozione fiero ed indomito, visse la sua intera esistenza di sposa felice e madre di 6 figli: Giuseppe, Giovanni, Benedetto, Antonio, Isabella e Emanuela.
Angelo, fratello di Scipione, che viveva a Napoli, durante le sue frequenti visite a Tito aveva avuto modo di esporre in appassionate conversazioni familiari, le nuove idee di libertà e di democrazia
rivoluzionaria che dalla Francia si erano diffuse in Italia.
Così tutta la famiglia Cafarelli aveva accettato con fervore il dottrinarismo francese.
Nel frattempo a Napoli il 23 gennaio del 1799 l’eserito napoleonico guidto dal generale Championnet, infranse la disperata resistenza dei lazzaroni occupando Napoli e dando vita alla Repubblica Partenopea.
Il 29 gennaio davanti al palazzo reale venne innalzato l’albero della libertà con grandi feste popolari.
Nei primi giorni di marzo anche in numerosi paesi della Lucania si innalzarono alberi della libertà: a Tito l’avvenimento fu celebrato il 7 marzo del 1799 così come a Potenza, San Fele, Avigliano, Picerno eccetera.
Il clima di festeggiamenti ed entusiasmo venne interrotto dallo sbarco sulle coste calabresi del Cardinale Rufo il quale diede inizio alla sua fortunata spedizione che lo condusse a Napoli.
La strada scelta dal cardinale fu quella che dalle coste dello Ionio si indirizzava verso Matera proseguendo per Melfi e Benevento fino a raggiungere Napoli.
Questo itinerario strategico si proponeva di arginare un movimento reazionario popolare per restaurare il vecchio regime borbonico avvalendosi di schiere di briganti tra i quali Gerardo Curcio chiamato Sciarpa il quale aveva saccheggiato e terrorizzato molti paesi del melfese.
Negli ultimi giorni di aprile Sciarpa attaccò Picerno dirigendosi subito dopo a Tito, dove contrariamente a quanto egli pensasse, l’impresa non fu facile in quanto i patrioti tintesi guidati dai coniugi Cafareli erano numerosi.
In seguito a un tradimento che rivelò l’esistenza di un passaggio non custodito che dalla montagna giungeva a Tito, il 3 maggio 1799 le orde brigantesche penetrarono nel paese saccheggiandolo in una terribile rappresaglia.
Sulla famiglia Cafareli conversero le vendette di Sciarpa, offeso e umiliato dalla resistenza opposta dal popolo.
Il 27 maggio l’eroina venne fucilata a causa del suo testardo attaccamento alla fede repubblicana.
Condotta in piazza e ordinatole per l’ultima volta di gridare “viva i Borboni” ella con voce ferma e scandita gridò “Viva la Repubblica, viva la libertà” cadendo poi riversa nel suo sangue.
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