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Un’altra tradizione che resiste, specialmente nelle campagne del paese assai abitate, è l’uccisione del maiale, che appare quasi un rito.
Il maiale lo uccide un uomo pratico del mestiere con l’aiuto di altri uomini.
Come da tradizione, niente del maiale si perde, neanche il sangue che viene raccolto e con il quale si prepara il sanguinaccio, un cremoso dolce con cioccolata, uva passita.
L’animale dopo la morte viene ben pulito e appeso al soffitto di un locale per essere aperto e ripulito anche all’interno. Gli intestini vengono puliti con cura per essere poi utilizzati per la preparazione dei salumi.
Con cuore, polmoni e fegato si preparano dei piatti prelibati, il fegato viene usato per degli involtini con sale, pepe e foglie di lauro chiusi nella “sterpigna”, mentre il cuore e i polmoni ed altri residui di carne sono usati per preparare la “p’zzenda”.
Dopo che il maiale è stato aperto, ripulito e diviso in due, il lavoro per la prima giornata è finito e allora ci si dedica alla piacevolezza della tavola ed a banchettare.
Infatti la sera dell’uccisione del maiale è festa: si invitano i parenti più stretti e gli amici più stimati per trascorrere insieme la serata, per mangiare alcune parti del buon maiale appena ucciso, per bere del buon vino e per cantare e suonare con l’organetto.
Il giorno successivo le parti del maiale, rimasto appeso per tutta la notte, sono ben fredde, specialmente se la notte è una di quelle notti invernali che fanno rabbrividire.
Le parti vengono tagliate: si separa la carne per la salsiccia, quella per la soppressata, i prosciutti, le spalle, i capicollo, le ventresche, il lardo e il grasso per la sugna.
Oggi il lardo del maiale viene poco utilizzato, mentre in passato la bontà del maiale si vedeva dalla quantità di lardo che teneva, se il lardo era doppio e consistente, allora il maiale era eccellente, e con la “n’zogna”, sugna, si preparavano soffici dolci e si conservava la salsiccia una volta seccata.
Il lavoro di selezione della carne, preparare i prosciutti e le spalle, è assai importante e richiede cura e attenzione.
Seduti intorno alla “buffetta”, tavolo basso, ci si siede per tagliare in parti minute la carne (anche se oggi molti usano una macchina), durante questo lavoro si chiacchiera di tutto ed è una bella occasione per rilassare la mente e scambiarsi notizie, infatti è un momento di aggregazione con amici e parenti.
Dopo aver sminuzzato la carne si passa al lavoro dell’insaccamento: oggi si utilizza una macchina rapida e veloce, mentre qualche anno fa anche questo lavoro veniva fatto a mano premendo con le dita la carne in un imbuto posto nell’intestino.
Il salame, diviso nei suoi diversi generi, viene affilato sui tavoli e rimarrà ad assestarsi ancora per la notte successiva. Il giorno dopo sarà appeso alle verghe legate al soffitto in una stanza asciutta e ventilata.
Se le giornate sono fredde e asciutte, basterà fare poco fuoco, ma se le giornate sono umide, si cercherà di mantenere l’ambiente asciutto con abbondante fuoco.
Dopo venti giorni, un mese, a seconda della doppiezza del salume, si procederà al consumo e alla conservazione: la p’zzenda e la salsiccia grassa saranno consumate per prime, ma gran parte delle salsicce e delle soppressate e gli altri prodotti del maiale saranno consumati nel corso dell’anno secondo le esigenze della famiglia.
Grazie a questa forte e importante tradizione della cultura culinaria picernese, la salsiccia di Picerno, prodotta da numerose ottime aziende, è una delle salsicce più buone e prelibate della Basilicata.
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